Letterina numero tre

Cari tutti,
 

  questa terza parte è un pochino più seriosa delle precedenti. In questa puntata:

  1. Il senso del dovere cinese
  2. I cinesi in pillole
  3. La gestione cinese dell'emergenza

1) Il senso del dovere cinese

Gli italiani potrebbero avere delle difficoltà a comprendere lo spirito cinese perché la percezione dei due popoli del concetto di appartenenza ad una comunità è agli antipodi. In primo luogo, i cinesi sono un popolo molto coeso e orgoglioso. Si sentono cinesi prima di ogni altra cosa (anche quei cinesi che vivono all'estero). Dal raccoglitore di mozziconi di sigarette al professore universitario tutti fanno il loro dovere con un'attenzione al particolare che denuncia una sincera intenzione a rendersi utili per la loro società. Non c'è bisogno di controllare o costringere qualcuno a fare qualcosa o persuaderlo con delle gratificazioni: la maniacale attenzione al dettaglio è dovuta alla personale intima convinzione che così debba essere fatto. Per questo motivo la società cinese ha una marcia in più rispetto ad altre società più egoiste, avvitate in un inesorabile declino.

I camerieri cinesi, per esempio, vi inseguiranno fuori dal locale per restituirvi la mancia. Non sono offesi dalla mancia in sé, ma non possono accettarla perché loro non lavorano per il loro interesse personale ma per l'interesse del loro locale, e più in generale, per l'interesse di tutti. Accettare la mancia contraddirebbe questa assunzione di base, che per loro è più importante di una gratificazione economica.

Altro esempio (questo inventato): prendiamo un italiano ed un cinese che facciano per mestiere i collaudatori di mutande. L'italiano si sentirebbe innanzi tutto un membro di una elite intellettuale, esperto in una disciplina esoterica, appartenente ad una cerchia ristretta ed esclusiva. Solo in seconda battuta si sentirebbe italiano, e solamente per protestare il fatto che i collaudatori di mutande, fondamentalissimi per la società, in Italia non sono tenuti nella giusta considerazione e non hanno sufficienti privilegi. Insomma un italiano si sente prima membro di una elite, di un partito, di una categoria, e solo dopo si sente italiano. E cosa vuol dire essere italiano? Non vuol dire altro che saper abbinare la cravatta alla camicia, apprezzare la buona cucina e tenersi informati sulle condizioni del ginocchio di Totti.

Avevo un appuntamento con un professore della locale TsingHua University e abbiamo dovuto posticipare perché questo professore è stato convocato (con un solo giorno di preavviso) dal Ministero delle Scienze e della Tecnologia per redigere il "dodicesimo piano quinquennale per la ricerca e lo sviluppo della tecnologia dell'informazione".
Trascuriamo per un attimo il fatto che mentre noi non abbiamo alcuna idea di dove andremo a finire il mese prossimo qui sono al dodicesimo piano quinquennale (forse è per questo che siamo gli ultimi in Europa per l'accesso ad Internet a banda larga?). Ma vi rendete conto di cosa voglia dire avere un governo che vi convoca per avere il vostro contributo nella vostra disciplina? In Italia le decisioni le prendono quattro persone, non certo illuminate, chiuse in conclave nel gabinetto di un ministero (nel tentativo spasmodico di aiutare gli amichetti che sono fuori).
D'altronde cosa si otterrebbe se in Italia si convocassero le menti pensanti per redigere una qualche legge? Il risultato è scontato: una legge che favorisce i collaudatori di mutande.

Il senso del dovere cinese tocca punte di masochismo. In previsione dei consumi futuri la Cina ha deciso di distribuire sul suo territorio qualche centinaio di centrali nucleari. Attualmente c'è una gara tra le varie città per ospitare una centrale nucleare. Evidentemente sono in gioco anche dei vantaggi economici, ma c'è anche la convinzione che ciò sia giusto, e soprattutto la certezza che ciò venga gestito nella maniera opportuna. Di converso, in Italia, il principale freno a manovre analoghe non è tanto la paura del nucleare in sé, ma la matematica certezza della cattiva gestione della sicurezza e della sostanziale impunità degli eventuali responsabili dei disastri ecologici (qui li fucilano dopo un processo di una settimana).

2) I cinesi in pillole

I CINESI AMANO L'OCCIDENTE: Se c'è una cosa veramente insopportabile della Cina è il fatto di trovare riprodotte qui le caratteristiche più degeneri delle società occidentale. Tra le cose peggiori c'è la moda, con i suoi modelli unificanti e le sue proposte indiscutibili. Anche qui si vedono ragazze che camminano come se fossero sulla passerella di Cavalli, tronfie per il loro look occidentale e per i loro garretti.
Quest'amore per la moda diventa ancora più insopportabile quando si trasforma in amore gratuito per tutto ciò che è occidentale. Nelle pubblicità cinesi, compare sempre la faccetta di un consumatore europeo a dare lustro al prodotto. Le modelle delle immagini pubblicitarie hanno occhi alla occidentale. Il massimo per un cinese è rappresentato da un europeo biondo con la carnagione chiara e gli occhi azzurri (gli occhi azzurri non rientrano nel patrimonio genetico cinese).
Per i cinesi ricchi o ricchissimi un regalo per una figlia diciottenne potrebbe essere un'intervento di chirurgia plastica agli occhi per trasformarli nei tanto agognati occhi caucasici (pressappoco come in Italia si fa per un seno che non è proprio da copertina).


I CINESI HANNO SPIRITO DI INIZIATIVA: Lo spirito d'iniziativa cinese si vede tanto nelle opere ciclopiche quanto nelle piccole cose. E' tipico dello spirito cinese non scoraggiarsi di fronte a nessuna difficoltà. Tutto può essere conseguito. Tutto può essere costruito. Tutto può essere cambiato. La velocità di demolizione/costruzione è sbalorditiva. E' una cosa normale a Pechino cercare il proprio ristorante preferito e non riuscire a trovare più nemmeno l'edificio, rimpiazzato da un centro commerciale o da un grattacielo che prima non c'era.
In queste foto mostro invece due piccole cose: la prima è la capacità di adattamento di un cuoco di strada che cucina i suoi spiedini (anitra e montone, per la cronaca) aiutandosi con un fon. La seconda è un piccolo esempio di trasporto impossibile su bicicletta. Non è il più notevole che abbia visto, ma non ho avuto il coraggio di fotografare i trasportatori più audaci.


I CINESI PROVANO TUTTO: Se c'è un posto che, per ovvie ragioni, è trascurato dai turisti e che invece rivelerebbe molto della natura cinese è la locale Ikea. Io personalmente non ci sono stato, quindi vi riferisco cosa mi hanno detto gli amici che vivono qui da anni. All'Ikea si può assistere ad un'altra caratteristica del popolo cinese: il cinese prova qualsiasi cosa prima di comprarla. Provare un letto significa dormirci sopra: ci sono intere famiglie che si recano all'Ikea e si mettono tutti a nanna negli spazi espositivi, nonni e bimbi compresi. Potete immaginare cosa succede quando devono provare una cucina. Si portano tutti gli ingredienti e fanno uno scempio, mangiando sui tavoli come se fossero a casa loro per verificare che il tavolo "funzioni".
Questa tendenza si ritrova in piccolo nei negozi di libri. Certamente anche nel mondo anglosassone c'è l'abitudine a leggiucchiare nelle librerie, ma questo è nulla di fronte a quello che ho visto qui in Cina. Le librerie sono talmente affollate di lettori intenti nella lettura che è difficile farsi largo nelle corsie. E poi, gli anglosassoni alla fine i libri li comprano anche...


I CINESI SONO MAGRI: In Cina il problema dell'obesità non esiste. Le cinesi sono tutte naturalmente longilinee. Le donne europee che vivono in Cina, anche quelle che non definireste mai "grasse", non trovano le misure per i loro vestiti e sono condannate al mercato turistico parallelo. Gli uomini europei hanno invece un problema analogo con le scarpe (i cinesi hanno i piedi piccoli).
Sulle motivazioni di questa magrezza ci sono le teorie più disparate. C'è chi sostiene che il tè verde abbia delle proprietà dimagranti e si offre come esempio di successo della terapia. C'è chi dice, invece, che sia l'olio d'oliva a fare malissimo agli occidentali e che la dieta mediterranea sia una bufala nostrana. Vero è che i cinesi in generale sono sempre in movimento e fanno tanto sport. Alcune ditte iniziano la giornata lavorativa facendo fare esercizi ginnici agli impiegati tutti schierati.


I CINESI MANGIANO IN CONTINUAZIONE: La magrezza dei cinesi non è certo dovuta a carenze alimentari. Un cinese mangia in continuazione. Dovunque si trova sgranocchia. Qualsiasi gita, passeggiata, attività lavorativa o non, è costellata di spuntini. Nei grandi magazzini c'è una sezione apposita destinata allo sgranocchiabile. Pareti lunghissime ospitano dal pavimento al soffitto tutte le alternative possibili per uno snack. Si va dal dolce al salato, dal fresco allo stagionato, dal locale all'esotico. Potete trovare qui la vostra frutta secca preferita, ma anche dei canditi di frutta inesistente in occidente. Non ho capito chi possa mai fare uno snak con del pesce secco o con della carne di coniglio stagionata: un'intera sezione è dedicata a questo tipo di prodotti che non sembrerebbero, a tutta prima, commestibili. Una menziona e particolare meritano gli snack piccanti, mentre la zona caramelle è addirittura enciclopedica.

In queste foto vedete nell'ordine: la sezione frutta secca di un grande magazzino; la temibile sezione carni; uno zoom sulla sezione zampe di pollo piccanti.


I CINESI NON MANGIANO FORMICHE: Un luogo comune nostrano vuole che i cinesi mangino formiche. In realtà non è così. Se chiedete ad un cinese se i cinesi mangiano formiche lui vi risponde con decisione di no, per due buoni motivi. Primo: l'uso di mangiare insetti è ristretto ad alcune particolari zone geografiche del sud. Secondo: le formiche non sono così buone da meritare una menzione nella dieta alimentare, con l'eccezione di una particolare specie di formica, che evidentemente non ha un alto contenuto di acido formico. Quindi i cinesi non mangiano formiche in generale. Eventualmente alcuni particolari cinesi mangiano una particolare formica.
In effetti bisogna dire che solo in un mercatino turistico nel centro di Pechino ho trovato insetti e aracnidi esposti come potenziali snack. Ne ho fatte alcune foto che vi mostro qui a fianco. Gli scorpioni erano vivi e facevano di tutto per attirare l'attenzione dei turisti (si vede, nella prima foto, che non sono veramente infilzati, ma sono appena trattenuti da una striscetta di esoscheletro). La cosa importante, però, è che la reazione dei turisti cinesi e dei turisti occidentali riguardo a questi spiedini è la medesima: sorpresa, ripugnanza, fotografie, ecc. Si tratta, dunque, di attrazioni turistiche, non di alimenti veri e propri. Sempre nella prima foto potete vedere due cavallucci marini, anche questi esposti come improbabili alimenti. Lo scopo è quello di sorprendere il compratore con proposte inattese, non quello di fargli mangiare queste schifezze.
Vero è che mentre un compratore occidentale è definitivamente scoraggiato dall'acquistare alcunché in uno stand dove compaiono a qualsiasi titolo questo tipo di spiedini, un compratore cinese non è affatto inibito e procede al consueto rituale dello snack sempre, dovunque, e comunque.


I CINESI BEVONO E GIOCANO (E A VOLTE MENANO): Il maschietto cinese tende ad avere due difetti nazionali. Il primo è che è un formidabile giocatore il secondo è che è un buon bevitore. I cinesi giocano a carte per la strada (una sorta di ramino, se ho capito bene, oppure una specie di dama). Ma giocano anche nei locali pubblici. Nelle discoteche di grido, se guardate i tavoli dei ricchi (quelli a ridosso della pista) potete trovare i seguenti ingredienti:

Un terzo difetto meno noto è quello di usare le mani nei rapporti domestici. La famiglia cinese è in buona parte una famiglia patriarcale. I figli maschi, per esempio, sono in generale preferiti alle femmine. La tradizionale subalternità delle donne, unita alla recentissima emancipazione femminile sia economica che culturale (spesso ispirata a modelli d'importazione) può avere come effetto una gestione violenta dei contrasti familiari, anche perché quando un cinese è convinto di avere ragione non è affatto prono al compromesso.
Alcuni sostengono che questo sia uno dei motivi per cui gli occidentali siano così apprezzati dalle ragazze cinesi. Di sicuro c'è il fatto che non c'è in Cina una particolare sensibilità delle forze dell'ordine riguardo alla violenza domestica (non serve a nulla chiamare la polizia, per intenderci) e che non esiste alcuna struttura di qualsiasi tipo in grado di ospitare o assistere le vittime di tali episodi.

3) La gestione cinese dell'emergenza

Come sapete dalla precedenti letterine, c'è stata qui una emergenza H1N1. Il pericolo è ormai scampato, ma questa supposta calamità è stata un'occasione per prendere contatto con la struttura organizzativa cinese e farsi un'idea di quali siano i suoi meccanismi e i suoi princìpi ispiratori e soprattutto per confrontare questa struttura con la sensibilità italiana.

Intanto è necessario chiarire il contesto: una pandemia a Pechino (15 milioni di abitanti) avrebbe effetti devastanti. Già tre anni fa ci fu qui un allarme SARS. L'intera città di Pechino fu sottoposta ad una sorta di coprifuoco, con conseguenze economiche di proporzioni inimmaginabili. In quei giorni le strade erano deserte: la gente non si muoveva da casa se non per validi motivi. Ad alcuni pechinesi fu impedito fisicamente di uscire dalle loro abitazioni serrando le porte dall'esterno. I cancelli di ingresso dell'università dove sono io adesso furono chiusi dai militari con delle catene e nessuno potè entrare od uscire dal campus per ben tre mesi.
Dunque, per quanto non sia chiara la gravità di questa nuova influenza H1N1, l'attenzione delle autorità locali è stata massima, e la reazione immediata. Tuttavia, la gestione dell'intero episodio si è rivelata molto diversa dal previsto. Ci si sarebbe aspettati, infatti, una gestione autoritaria, centralizzata e monolitica. Invece la gestione è stata disomogenea, talvolta persino estemporanea ed incoerente, ma comunque estremamente efficace.

Occorre considerare che nella catena di comando cinese è evidentemente ritenuto importante che le informazioni fluiscano nel punto in cui la decisione deve essere presa, piuttosto che in direzioni arbitrarie. Non c'è quindi nessuna velleità, né necessità, di far fluire le informazioni verso il basso (anzi, in questo caso probabilmente c'è stata anche la prudenza di non creare panico nella popolazione).
Il risultato è che alcune informazioni si propagano comunque per vie non ufficiali e arrivano aberrate, ammesso che arrivino. Per esempio: quanti studenti hanno avuto l'H1N1 qui alla BeiJing Language and Culture University? Parrebbe che ci sia di sicuro il caso della studentessa giapponese che è stata nella mia classe per due ore, ma un suo amico giapponese mi ha assicurato che nell'ospedale dove questa era ricoverata ci fossero altri 5 malati in isolamento, tutti provenienti dalla BLCU. Altri sostengono che invece si tratti solo di ricoveri preventivi, ma non di H1N1 conclamata. Secondo alcune voci ci sono stati altri casi a luglio di cui nessuno sa nulla. Non essendoci stata nessuna dichiarazione ufficiale non si può avere una risposta certa a queste domande. Pare però che i tassisti preferiscano non portare i clienti a WuDaoKou, e sostengano di non sapere dove sia (anche questa è una notizia non confermata). Io nel mio piccolo quando salgo su un taxi, prima chiudo la porta e poi dico dove voglio andare (e talvolta ho l'impressione che il tassista alzi gli occhi al cielo). Insomma, in qualche forma l'informazione si propaga ugualmente, ma non ci si può fare alcun affidamento. Gli studenti della classe a fianco alla nostra dopo alcuni giorni dai primi episodi ancora non sapevano nulla dell'H1N1.

Quindi le informazioni non ufficiali sono per loro natura inaffidabili se non sono di prima mano. Tuttavia, alcune informazioni vengono fornite involontariamente dalle stesse autorità. Infatti è un dato di fatto che le informazioni vengano collezionate nel momento in cui si ritengano utili e che gli ordini vengano diramati nel momento in cui si ritiene necessario eseguirli. Ne segue che quando un'informazione viene richiesta o un ordine viene impartito, implicitamente viene rivelata una preziosa informazione sullo stato del sistema di gestione. A volte questo consente una misura indiretta della sua efficienza.
Ne esce un quadro estremamente disomogeneo. L'idea che mi sono fatto è che ci sia una catena di comando con molteplici livelli, nella quale ogni livello risponde del suo operato solamente verso l'alto, e probabilmente prende l'iniziativa nel momento in cui non può più farne a meno e in base alle sole informazioni disponibili o immediatamente reperibili dal livello inferiore. E' infatti presumibile che la ritrosia a diffondere informazioni verso il basso si ripresenti anche nei rapporti tra i livelli intermedi della gerarchia.
Questo non sempre dà luogo ad una reazione coerente. Le informazioni vengono spesso richieste con urgenza alle persone sbagliate, e talvolta le stesse informazioni vengono richieste più volte, ignorando il fatto che sono già a disposizione in qualche punto della piramide gerarchica. Di converso, disponendo di una informazione che si ritiene importante, è difficile farla fluire verso l'alto se non se ne viene richiesti.
Con le informazioni così frammentarie, la stessa catena di comando si espone ad errori marchiani. Per esempio, persone a rischio contagio non sono state individuate perché nessuno ha ritenuto di interrogare né loro né altri su chi avesse veramente interagito con le persone infette. Persone mai esposte al contagio sono state ritenute erroneamente a rischio e sequestrate per giorni. Ad alcuni studenti viene quotidianamente misurata la temperatura corporea in maniera coatta e alcuni giapponesi sono stati catturati per strada per fargli un tampone. A me, che potrei verosimilmente aver interagito con l'infetta, nessuno ha mai misurato la febbre e non ho mai visto un dottore. Un'infermiera mi ha detto che una mattina non mi hanno trovato in camera (e probabilmente è vero perché ero a lezione). Tuttavia ogni mattina, in ottemperanza ad un ordine di chissà chi, durante l'appello ci chiedono se abbiamo la febbre (e io randomizzo nell'intervallo chiuso [36.4,36.5]).

Nonostante queste incoerenze la gestione dell'emergenza è stata efficacissima. Con buona pace dei tassisti, nessuno, né a Pechino né altrove potrebbe sostenere che ci sia stato un singolo episodio di H1N1 qui alla BLCU. Nel sito web del nostro ministero degli esteri non si è mai menzionato alcun allarme sanitario connesso con Pechino. Mentre i palombari rapivano gli studenti con le loro ambulanze, la proficua industria dei corsi estivi di Cinese per studenti stranieri non è stata interrotta, e nuovi studenti, incoscienti dell'eventuale pericolo, riempivano con le loro valigie le lobby degli alberghi e dei dormitori, dove venivano accolti dal personale in mascherina.

In tutto ciò, l'atteggiamento degli italiani è stato spesso incomprensibile ed incomprensivo. Le affermazioni più comuni sono state "io devo sapere", "voglio parlare con il responsabile", "faccio scoppiare un casino", ecc ecc. I cinesi ci hanno assecondato come se fossimo dei lobotomizzati e qualche volta ci hanno anche accontentato quando le nostre richieste si sono rivelate sensate (per esempio, quando abbiamo richiesto di ricominciare le lezioni invece di andare a scorrazzare per Pechino). Mentre tutto questo stava accadendo io mi pappavo un ghiacciolo al tè verde e intanto mi ingegnavo a pensare cosa avrei fatto io al loro posto: qualsiasi ipotesi io abbia proposto a me stesso non avrebbe avuto un decimo dell'efficacia della strategia che è stata invece messa in pratica.